Di cosa non puoi ridere tu?

Qualche giorno fa ho avuto una giornata impregnata da grande sofferenza, non c’era un particolare motivo.
Stavo solamente sgusciando dentro la mia inconsapevolezza.
L’inconsapevolezza non è assolutamente nulla di complicato e nemmeno un concetto, è solo uno stato di non-presenza, di non-attenzione.

In quel momento stavo credendo ai miei pensieri come reali e alle mie emozioni come totali. Stavo credendo che emozioni e pensieri fossero me e mi stavo dimenticando della parte di me in pace che non ha nulla da difendere o dimostrare.
La parte di me libera dallo psicodramma con cui, ciascuno di noi, per la maggior parte del tempo cammina, mangia, dorme, si relaziona, litiga, si separa, si ammala; lo zainetto di maschere che ci portiamo dietro e che indossiamo continuamente e compulsivamente.

Ho osservato con attenzione quanto fosse fagocitante l’energia di questa credenza, ho osservato senza cambiare nulla, senza modificare, migliorare, lo spessore di questa energia.
Ho lasciato accadere, ma da sveglia.

Mi rendo conto che una domanda importante da farsi è: di cosa non posso ridere? Su cosa devo essere seria?

Ahimè, quasi tutti abbiamo qualcosa di così importante da voler essere difeso. Quasi tutti abbiamo un’identità da voler preservare. Quasi tutti abbiamo un piccolo e fragile ego.
Anche se lo nascondiamo benissimo (malissimo) dietro un grosso suv, una malattia importante, un’immagine, una nazionalità, appartenenza, giudizio o un evento tragico da portare al mondo come il nostro personale manifesto.

Quando ridiamo di qualcosa che l’ego tiene stretto o qualcuno ride di noi, del nostro dramma, della nostra malattia, delle nostre paure, dei nostri valori, delle nostre convinzioni, delle nostre credenze, della nostra storia personale possiamo immediatamente sentire e riconoscere l’ego e la ferocia con cui non intendiamo assolutamente lasciare andare la maschera, riconosciamo subito l’attaccamento alla nostra sofferenza.

Qualcuno deride la nostra transitoria identità. Il terrore che tutto possa crollare, quella precaria impalcatura che ci siamo costruiti con le nostre personalissime e opinabili continue divisioni tra il bene e il male, tra il giusto e lo sbagliato, è un continuo vivere per difendere qualcosa di infinitamente caduco, effimero.

Per lo più tutti noi viviamo di superstizioni.

Mentre quanto è davvero prezioso in noi, la fiammella della Presenza è al sicuro già da sempre.

Quanta della nostra sofferenza è necessaria, reale, connessa al presente?
Quanto siamo aggrappati alla nostra sofferenza e chiediamo che venga riconosciuta nel 100% delle nostre relazioni (che esistono esattamente per mostrarci questo)?
Quanto siamo disposti a rinunciare a questa serietà?
Quanto siamo disposti a lasciare andare quest’idea di noi stessi?
Quanto siamo disposti a guardare oltre il sipario?

Di cosa non puoi ridere tu?

Il dolore che vuoi difendere è il dolore di cui non ti libererai.

Osserva quello spazio e troverai lì la leggerezza con cui concimare un terreno nuovo, fertile per il tuo cuore e attraverso cui guarire un pò.

[Immagine di Holly Andres]

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